Italo Svevo: le perde tutte, ma a fine stagione trionfa perché tutti gli altri vengon squalificati. Per la sua squadra ogni sconfitta è sempre l’ultima.
James Joyce: fallosissimo, spezza le gambe agli avversari e inveisce contro l’arbitro, per lui le partite finiscon sempre con uno o due uomini in meno ed inizian solo dopo esser ormai sotto 0-3. Esperto in rimonte clamorose, il risultato finale varia spesso da 3-3 a 5-3.
Ernest Hemingway: maestro del contrasto duro ma leale, cela dietro un gioco pane e salame la filosofia d’un calcio impregnato di coraggio, determinazione e tenacia. Celebri le sue vittorie per 1-0 al 95°.
Franz Kafka: vive la stagione nell’angoscioso terrore d’esser retrocesso da un giorno all’altro in Lega Pro. Per lui le partite parton sempre dallo 0-1. Con un uomo in meno. E ogni volta, chissà come, deve vedersela con un pallone più grande di lui.
Samuel Beckett: squadra tipicamente attendista, vive nell’incessante attesa di poter conquistar palla, invano. Con lui il minuto è sempre il 90°.
Marcel Proust: virtuoso del fraseggio corto e prolungato, la sua squadra è capace di palleggiar per un’ora intera senza mai tirare in porta. Ah, già, dimenticavo, il tempo non esiste. Le sue azioni vivono in moviola costante e il tè dell’intervallo dura più della partita.
George Byron: giocare per lui vuol dire solo giocare alla morte. Le partite i suoi giocatori le terminano puntualmente all’ospedale a gruppi di 6 o 7. Spesso estromessi dal torneo per sciagurato decesso di ¾ della squadra.
Gabriele D’annunzio: lui vince sempre. Prima squadra al mondo composta di 11 numeri 10, tutti fantasisti, gioca senza schemi e senza arbitro, segnando direttamente da rinvio. Apoteosi del calcio specchiato.
Émile Zola: fautore d’un calcio operaio, è abile a trasformare la difesa in attacco, studiando approfonditamente i difetti ereditari degli avversari allo scopo di scovarne i punti deboli. Recordteam di probità: 0 ammonizioni.
Albert Camus: tipica squadra di fatica e sacrificio, i suoi giocatori impiegano oltre un’ora per portar palla nell’area avversaria, dopodiché la perdono e devono ricominciare da capo. Abbonati allo 0-0, ma nutrendo sempre la speranza del gol.
Eugène Ionesco: gioca senza palla, iniziando le partite al 70°, andando al riposo al 23° e chiudendole al 3° del secondo tempo. Assolutamente indimenticabili le sue partite con Beckett. In porta c’è un rinoceronte.
Jean Racine: surclassa l’avversario e domina per tre quarti di gara, dopodiché getta via le partite, suicidandosi calcisticamente. “Imparare dalla sconfitta”.
Honoré de Balzac: la sua squadra le prende sempre, ma ai suoi giocatori non interessa. Loro pensano solo ai soldi.
Se la letteratura giocasse a calcio - Second edition
Luigi Pirandello: un solo giocatore, costretto a coprire ogni ruolo. Vorrebbe essere un abile tuttocampista, ma invece non è nessuno.
Edgar Allan Poe: ama giocare lontano dall’area, perché v’ha seppellito sotto la porta un cadavere e un gatto. L’arbitro gracchia ad ogni fallo “Nevermore”. E al 90° son tutti morti.
Dante Alighieri: sempre in trasferta per squalifica del campo, manda all’inferno arbitro e avversari. I suoi rigori finiscon sempre tra le stelle.
Giacomo Leopardi: vive rincorrendo il pallone, ma sa già come andrà a finire. Per lui non può esserci vittoria, l’unica vittoria possibile è non perdere.
Fëdor Dostoevskij: al 16° commette fallo a metà campo e, impunito dall’arbitro, si chiude in difesa per i restanti 74 minuti, sotto assedio. Capitola al 97° su autorete.
William Shakespeare: tre streghe gli pronosticano la sconfitta. Così, infiltratosi fra le fila avversarie, camuffato, gioca contro la propria squadra per farla vincere, ma alla fine un pallone carambolatogli sulla schiena finisce tragicamente in rete. Sparisce nella nebbia degli spogliatoi, portato in trionfo dai nemici.
Poe resta il mio idolo anche in versione calcistica, seguito da Proust e Shakespeare.
lunedì 12 febbraio 2018
Se la letteratura giocasse a calcio
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