“La parola era un giocattolo, un fuoco d’artifizio, un telescopio con trappole. La parola poteva venir rigirata, rivoltata come un guanto, annodata come uno spago e ne venivano fuori sempre nuvolette nuove, altri sorprendenti gingilli. Quelle d’una lingua scivolavano in quelle di un’altra. Piano piano imparai ad amare le parole col gusto che il musicista ha per i suoni ed i timbri, il pittore per i colori e gli impasti, lo scultore per le forme è la pelle della materia; ma in più c’era tutta l’infinita ricchezza semantica, il mondo sconfinato dei pensieri e dei sentimenti che le parole risvegliano e mettono in moto, che sono capaci d’evocare con precisione terribile o vaghezza dolcissima. La parola era infine un tesoro e una bomba. Ma soprattutto era una caramella, qualcosa da rigirare tra lingua e palato con voluttà, a lungo, estraendone fiumi di sapori e delizie.”
- Fosco Maraini, Gnòsi delle Fanfole (via doppisensi)
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