[Grigorij Grigor´evič Mjasoedov, I falciatori, 1887]
Passarono ancora una falciata e poi ancora un'altra. Passavano falciate lunghe e corte, con l'erba buona e con l'erba cattiva. Levin aveva perso ogni nozione del tempo e proprio non sapeva se fosse tardi o presto. Nel suo lavoro si era verificato un cambiamento che gli fece grande piacere. Mentre lavorava, aveva dei momenti nei quali dimenticava quello che faceva, si sentiva leggero, e proprio in quei momenti la falciata gli veniva fuori eguale e bella quasi come quella di Tit. Ma appena si ricordava di quello che faceva, e si sforzava di far meglio, provava subito tutta la pesantezza del lavoro e la falciata gli riusciva male.
[…] Nel pieno del caldo la falciatura non gli parve tanto difficile. Il sudore che lo inondava lo rinfrescava, e il sole che gli bruciava la schiena, la testa e il braccio dalla manica rimboccata fino al gomito, dava vigore e tenacia al lavoro; e sempre più spesso gli capitavano quei tali momenti di incoscienza, in cui si può non pensare a quel che si fa. La falce allora tagliava da sola. Erano questi i momenti felici.— Lev Tolstoj, Anna Karenina
I contadini che falciano il grano. Una delle più belle pagine mai scritte.
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