Non saprei immaginare un Nobel per la letteratura più giusto e meritato di quello assegnato a Svetlana Aleksijevich.
Ho imparato a conoscere questa scrittrice leggendo Preghiera per Chernobyl, qualche anno fa. E anche se i fantasmi di Chernobyl stanno lentamente svanendo, è impossibile dimenticare questo coro di voci nella loro assoluta verità.
Si potrebbe obiettare che i libri di Svetlana Aleksijevich sono reportage e non letteratura, al contrario delle opere di Alice Munro, Doris Lessing, Orhan Pamuk o Harold Pinter, per citare alcuni tra gli ultimi vincitori.
Riflettendo mi viene da dire che la letteratura ha questa cosa di strano: di raccontare un pezzo di verità attraverso la finzione. L'universo letterario è fatto di personaggi immaginari, probabili, verosimili, di cui non c'è traccia nel mondo reale. E' come spiare la vita attraverso il riflesso di uno specchio.
Quando invece questo pezzo di verità lo si racconta in maniera intensa dando voce a persone vere, donne, uomini, bambini, soldati e contadini, intellettuali, credenti e atei, destini, generazioni, è uno sguardo dritto al cuore della vita.
"Tu, Svetocka, non prendere nota di quello che ti racconto, e non comunicarlo alla gente. Sono cose che è impossibile comunicare. Io te le racconto soltanto perché io e te si possa piangere un poco insieme. E perché, andando via, tu ti volti a guardare la mia casetta non una volta, ma due". (Da Preghiera per Chernobyl)
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