giovedì 31 gennaio 2013

Humanities 2.0. Un alleanza tra geek e poeti?


E' Big Data, bellezza! per parafrase l'azzeccato slogan elettorale di Bill Clinton anni '90.
Sì perché la prossima grande idea che cambierà lo studio della lingua, della storia, della letteratura, delle arti ruota attorno ai dati.
Le scienze umanistiche sono il settore emergente nell'analisi di grandi basi dati e la domanda è: possono le questioni di estetica, le riflessioni che riguardano il significato della nostra esistenza, le parole di un libro o una melodia che ci fanno emozionare essere misurati?

La tecnologia sta cambiando la nostra comprensione delle arti. E la frontiera di questo nuovo mondo si è spostata sul metodo, su come utilizzare queste tecnologie potenti e una grande, un'enorme quantità di materiale digitalizzato. Qualche esempio?

1. A Stanford stanno creando una mappa digitale delle battaglie della Guerra Civile Americana per capire qual è stato il ruolo della topografia nella vittoria degli stati del Nord
2. l'utilizzo di database di migliaia di registrazioni in jam session per studiare come le collaborazioni musicali hanno influenzato il jazz (dalla computational science alla computational music)
3. la ricerca attraverso un gran numero di testi scientifici e libri della prima volta in cui sono apparsi determinati concetti e come si sono diffusi.

La cosa intrigante è che la disponibilità di questa grande massa di dati digitalizzati sta spingendo la ricerca scientifica in campi apparentemente estranei all'utilizzo di tecnologie computazionali ad alte prestazioni. 

Può sembrare da eretici parlare di cose che associamo spesso e volentieri alla categoria delle emozioni utilizzando termini razionali come computer science, data science, high-performance computers. Ma questi strumenti promettono una visuale diversa della cultura; permettono di studiare come una cultura nasce e si diffonde, così come il microscopio ci ha permesso di osservare più da vicino i principi che regolano la vita, e come il telescopio ci ha aperto la strada a galassie lontane.
In breve, sta nascendo un nuovo modo di studiare - forse anche di insegnare - le scienze umanistiche e le scienze sociali. 

E' un tipo di ricerca che si definisce con il termine inglese non-consumptive,  ovvero non si leggono i libri ma si cerca al loro interno. Un esempio. Tradizionalmente la storia della letteratura è fatta attraverso lo studio di pochi fondamentali testi rispetto all'enorme quantità di materiale che si può trovare. Tutto quello che va sotto il nome di data science non fa altro che rendere evidente quello che gli anglosassoni chiamano "the big picture", il contesto di riferimento in cui uno scrittore ha lavorato. E lo fa su una scala mai vista prima avendo la possibilità di esplorare tutti i libri di tutte le biblioteche digitalizzate: si esplora la letteratura all'interno di un unico grande sistema.

Quello che sta nascendo da questo incrocio  tra data science e science umanistiche è per il momento qualcosa di confuso. Lavorare su un archivio digitale è come entrare dentro un mito greco. E 'affascinante, ma anche difficile estrarre un'immagine razionale. E muoversi guidati dalla statistica, dalla teoria della rete attraverso un labirinto di folli dettagli contraddittori porterà a infinite false partenze o delusioni, come la storia della scienza ci ricorda.

Non c'è per il momento una risposta alla domanda se l'uso degli strumenti della data science porterà ad un cambio di paradigma nello studio delle scienze umanistiche, ma in ogni caso, giusto o sbagliato che sia, non c'è più una via di mezzo da percorrere. 

Nessun commento :

Posta un commento